Editoriale in quarta di copertina
Luglio 2004
di Alvise Foschi
In una zona di confine dove le differenze tra prosa e poesia smettono di avere uno statuto e i generi tradizionali si sgretolano per farsi scrittura totale, Renzo Cremona esce come da una camera oscura per metterci in mano i negativi che si sono appena asciugati: ad un primo sguardo, si direbbe, i particolari più insignificanti della quotidianità, i lati meno illuminati del giorno, quelli a cui meno prestiamo attenzione. Eppure, a ben guardare, si tratta di perimetri fortemente instabili, di zone dove la certezza è solo una patina rassicurante sotto la cui superficie si annida l’inquietudine del baratro. E una luce sinistra si stende sulle vicende più “insospettabili” delle nostre ore. È un mondo, quello delle Cronache, che ha i contorni e i contenuti della realtà ma respira un’aria allucinata ed è pervaso da una sospensione metafisica, quasi, perennemente sull’orlo del buio e del silenzio, un luogo temporale dove la memoria sta per spegnersi. La registrazione dei fatti, che dalla confessione diretta arriva alle volte ad avere il piglio di un atto burocratico e altrove il distacco chirurgico di un referto medico, è condotta in un tono apparentemente impersonale, ma questo non deve ingannare: in realtà le storie narrate nelle Cronache vengono di continuo smontate e riassemblate come una pellicola cinematografica che ogni volta rivela un lato della quotidianità prima del tutto trascurato: accade così che, grattando sotto la superficie, compaia la natura inquietante delle cose. Ma dalla notte c’è un riscatto: sottile, impercettibile all’inizio ma tenace, resistente: è la vita che continua a pulsare. Così alla fine eccolo, inaspettato, fuori da ogni speranza: il treno che imbocca l’uscita della galleria. E si rifà luce sui binari.