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Renzo Cremona, Piscine
di Alvise Foschi
“piscine vuote. / i giorni inventano / enigmi in silenzio”. Come piccoli sassi gettati in un lago, queste brevi composizioni sono il riverbero, dentro di noi, di un’evocazione improvvisa, un moto impresso alla superficie che lentamente, dal punto dove il ciottolo è caduto, si dilata fino a raggiungere le sponde. Nel numero contenuto di sole diciassette sillabe viene svelato e racchiuso il senso di magia e mistero che permea il nostro vivere quotidiano, e Cremona lo fa rispettando la metrica preposta alla composizione classica, ma allo stesso tempo rinnovandone alcune premesse: se infatti l’haiku tradizionale, legato al qui e ora, prevede l’inserimento di un kigo, cioè un’informazione stagionale che si riferisca ad una ricorrenza di ambito umano o naturale e collochi il componimento in un luogo ed un tempo precisi, l’elemento richiesto in questo caso è invece un dettaglio legato alle piscine, tramutate loro stesse in spazio ideale dell’altrove, in un universo parallelo dove la vita degli uomini e quella delle cose scorrono l’una accanto all’altra o l’una attraverso l’altra nella più totale naturalezza e fluidità.
I sentimenti che la tradizione dell’estetica giapponese vorrebbe legati all’haiku sono qui presenti tutti: sabi, il silenzio della contemplazione distaccata delle cose, la solitudine senza tristezza che avvolge il mondo quando ne abbiamo intuito l’essenza; wabi, l’inatteso che emerge dalle molteplici strade che prende la nostra quotidianità; aware, il senso di nostalgia e transitorietà; ma soprattutto yugen, la percezione del mistero inafferrabile che pervade le nostre vite, lo stupore indecifrabile del silenzio che germina dalla contemplazione del miracolo.
A questi elementi indispensabili perché una composizione possa definirsi un haiku, Cremona appone la propria personalissima impronta virando verso la formulazione di un universo quasi astratto, in cui le immagini, pur se ancora identificabili, tendono a perdere il connotato reale ed immediatamente riconoscibile per farsi rivelatrici di un mondo soggiacente dietro alle apparenze, quasi un archetipo della vita. E lo fa suscitando una pluralità di dimensioni che collocano in una specie di oltremondo queste evocazioni sospese e incantate, mettendo in campo una serie molteplice di linguaggi in cui può sorgere a nuova vita persino il parlare antico, idioma progenitore; ed è così che per uno straordinario sortilegio anche ai giorni nostri, nell’era delle macchine e delle esplorazioni spaziali, il latino è di nuovo sollecitato a continuare, con i suoi echi remoti e oltre millecinquecento anni dopo la caduta dell’Impero Romano, a svelare davanti ai nostri occhi, quasi trasfigurato, un universo di sfumature attonite, di misteri ancora intatti.