Literary.it, Nr. 4/2008
Renzo Cremona, Sedici settimane
di Claudia Manuela Turco
Le sedici settimane di Renzo Cremona corrispondono a ventotto poesie immesse in una serie di ragnatele di pioggia, tra gocce d’acqua tersa; l’opera risulta inserita nella collana “I Colibrì” delle Edizioni Eva. L’autore, consulente linguistico, si è già distinto per le sue traduzioni dal neogreco, dal portoghese, dall’afrikaans, dal mancese classico e dal cinese mandarino. I presenti frammenti sono stati tradotti in greco da Keti Maraka la quale, tra l’altro, ha insegnato greco moderno all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Renzo Cremona fu suo studente.
In sedici settimane la dimensione notturna risulta ricorrente e centrale, come in altre opere, precedenti, del medesimo autore (in Tutti senza nome «la notte ha due volti: l’altro è scrostato e ci guarda a mezzogiorno dalle fessure che abbiamo dentro la testa.»; ma, in particolare si vedano le Cronache dal centro della notte): «il mio nome era da ore | uscito dal cuore. | fu così che, | al centro della notte, | trovai il suo che mi accarezzava | la mano.». Qui la musicalità viene dosata con perizia, la rima quasi attutita dallo sviluppo immediato dei versi successivi.
Renzo Cremona, dunque, non solo vuole affondare nell’oscurità della notte, ma desidera raggiungervi il cuore, il centro, il motore, quel propulsore misterioso che tanto attrae e inquieta. Così la notte sta fuori e dentro le mura, fuori e dentro il nostro corpo, divide («il tuo corpo dista tre notti | ormai») e invita alla fusione, mentre i sessi perdono la loro identità.
La notte è un’ossimorica realtà: «preferisco la luce del giorno, | o la penombra, | è vero. || e se proprio buio dev’essere, | che sia quello del letto | in cui si sta distesi assieme. || ma allora | non c’è notte più luminosa.». Non si tratta di vera oscurità, dunque. La notte di Renzo Cremona, con tutte le differenze del caso, pare comunque accostabile al concetto di “ombraluce” espresso da Giorgina Busca Gernetti.
La sensazione di smarrimento procurata dal rapporto amoroso, la reciprocità, l’intimità accompagnano i protagonisti in rapidi scorci, mentre a volte il ritmo si fa altalenante; lo sguardo (dinanzi al cardine, al perno possibile) glissa per oscillare tra i due piatti della bilancia: «hai gli occhi grigi. e verdi. | come la vita | a finestre chiuse. | come la vita | a finestre aperte.».
Renzo Cremona apporta nuova linfa alla poesia amorosa, fissandosi sull’esperienza totalizzante, quasi il resto del mondo si arrestasse in una dimensione sospesa, in una zona di rispetto attorno all’alone magico venutosi a creare tra i due personaggi dominanti: «le pareti azzurre | i tavoli vuoti attorno. | siamo un’isola perfetta | io e te | al centro della notte.». E ancora: «solo che della luna | non mi importava più niente | ora che avevo la sua mano | di fronte ai miei occhi.».
Gocce di parole e silenzi, catenelle di pioggia sono questi versi: «da quando, | quel giorno, | siamo rimasti | ad ascoltare la pioggia | l’uno tra le braccia dell’altro || piove dovunque.».
La massima contrazione nella misura del frammento trova un momento di sosta, una tregua, per la poesia più lunga, non a caso dedicata proprio alla pioggia e qui di seguito riportata per intero: «diverse sono le forme | di pioggia che conosciamo. || c’è la pioggia principale, | che scende a dirotto | nella sintassi del giorno, | intransitiva e indifferente | agli ombrelli. || c’è poi quella che cade obliqua, | per cui a poco servono le protezioni, | sempre subordinata | e sempre congiuntiva, || una pioggia che non indica | ma suppone. || e c’è quella che bagna le mani | con cui ti accarezzerò. | poi ci sei tu: | pioggia che si ascolta distesi a letto, | l’uno tra le braccia dell’altro: || modo infinito | tempo presente.». Pertanto, si può affermare che il poeta conosce bene il linguaggio pluviale, ne padroneggia la grammatica, e lo fa germogliare sulla pagina. La pioggia possiede il potere di annullare le distanze tra gli amanti, stretti in uno ad ascoltarla.
All’interno di questa silloge poetica la lettera minuscola, in luogo della maiuscola, continua a svolgere un ruolo coesivo già anticipato nella produzione precedente di Renzo Cremona (si ricordi la divorante assenza di maiuscole in Tutti senza nome).
L’amore è un inizio, ed è speranza, a dispetto di tutto e di tutti: «mi hai preso la mano nel buio. | e mi hai raccontato di isole, | di piante che fioriscono | inaspettatamente | nel cuore | d’inverno.», come la rosa che nasce dal fango (o negli inverni eterni) degli Echi d’infinito di Antonella Ruggiero.
Con questa silloge poetica, in sole sedici settimane Renzo Cremona è riuscito a catturare i sommovimenti tellurici dell’anima, rimestata dal rapporto amoroso.