La Nuova Tribuna Letteraria, no. 99 Anno XX (3° Trimestre 2010)
Renzo Cremona, Dei vizi e delle virtù
Edizioni del Leone, Spinea (Ve), 2010
di Daniela Monreale
Singolare questa ricognizione contemporanea dei vizi e delle virtù operata da Renzo Cremona, in questo agile e intrigante libretto, quasi un livre de chevet da tenere preziosamente vicino, per gustare di tanto in tanto l’approdo poetico di una sapida riflessione esistenziale, a metà tra la meditazione filosofica e l’appunto visionario. Sulla scia della tradizione stoica del “catalogo dei vizi e delle virtù” (presente pure nell’epistolario paolino), Renzo Cremona si avventura nella codificata distinzione della morale cattolica tra vizi “capitali” e virtù “cardinali” (ira, accidia, prudenza, giustizia…), ricostruendone l’immagine e il profilo in una prosa poetica accattivante e visionaria, e aggiungendone la serie di vizi capitali e virtù cardinali dei “tempi moderni” (ignoranza, rimpianto, oblio, memoria, impazienza, dedizione, stupore, limpidezza, pienezza), il tutto offerto in una carrellata di racconti poetici minimali ma fortemente simbolici, in un concentrato di forza evocativa e di suggestione per tutti i cinque sensi. Così l’ira viene rappresentata in una scena concitata che suggerisce conflagrazione e devastazione, l’accidia è simboleggiata da una stasi gelatinosa, l’avarizia da una stanza chiusa e bloccata in un silenzio ammuffito, e così via, in un’articolazione di immagini molto pregnanti e in un linguaggio denso, icastico, con forti aggettivazioni. La separazione tra “antico” e “moderno” rimane dunque solo concettuale, perché il tratto linguistico rimane costantemente teso all’affabulazione e alla “teatralizzazione”, con tratti a volte apocalittici, a volte contemplativi. Cremona riesce dunque ad aggiornare il mondo dei vizi e delle virtù senza imporre una cesura netta tra il prima e il dopo, collegando anzi i due tempi in una medesima architettura di immagini che la “messa in scena” poetica esalta e attualizza.
Sono proprio queste immagini, così vivide ed eloquenti, a rendere tangibile l’alfabeto simbolico di questi racconti, al di là del loro substrato filosofico, e a dare coloritura emotiva anche ai “personaggi” non umani, alle case, alle stanze, ai monti, agli alberi, alle piante, sollevandoli da quella reificazione quotidiana che forse Renzo Cremona ci indica come il vizio moderno più grande di tutti, perché minaccia la capacità di stupirsi sempre e comunque.