Il Convivio, Trimestrale di Poesia, Arte e Cultura dell’Accademia Internazionale Il Convivio
N. 66 – Anno XVII numero 3 (Luglio-Settembre 2016)
Renzo Cremona, Neve
di Lucia Paternò
Sembra sovvertire persino le regole morfologiche per dare la preminenza assoluta alle regole del cuore. Così Renzo Cremona, esperto linguista e traduttore, poeta con la propensione al discostamento dal convenzionale, in Neve caldeggia il tema introspettivo dell’esistenza, ma non scevro da motivi etici. Nel testo esegue una sorta di perequazione lessicale, tale per cui, tutte le accezioni acquistano pari dignità come espressioni dei moti dell’animo. Riduce all’essenziale i segni d’interpunzione rendendo il verso consequenziale, inoltre quando c’è il punto non segue il maiuscolo […] “i nostri corpi in attesa sulle sedie erano diventati grovigli di scricchiolii, / arcolai di legno indurito incapaci di / sbrogliare i nodi tra i fili, e nessuno ricordava / più che colore avessero avuto le nubi prima di / sfaldarsi nell’albume del giorno“.
L’individuo è sempre più smarrito, analogamente al paesaggio invernale immobile. Spento, incapace di azione, in un torpore che lo fagocita. Tuttavia l’ansia cresce, si dilata, narcotizzando tutto ciò che è esterno. Le impronte sono l’unico segno di orientamento probabilmente per evitare di “ingarbugliarsi col nulla“, in uno scenario statico che cristallizza anche il tempo. Trasalimento, improvvisa apertura delle finestre sono immagini che rimandano alla medesima sensazione: lo stupore come momento di coscienza e anticamera dell’azione o reazione.
Le liriche sono strutturate con rari capoversi, al punto che talvolta sembrano dare l’idea di blocchi monolitici di fronte ai quali si rimane immobilizzati, un muro in cui sembra trovarsi, in talune situazioni, l’animo umano. L’equazione inverno come assenza di parole e primavera come ritorno delle parole, è ricorrente nel verso di Cremona, tuttavia ad un certo punto si tramuta in contrapposizione antitetica: inverno – dolore, tristezza; primavera – gioia, per spiegare quel sentimento di solitudine che sembra riempire di brina e quindi gelare tutto ciò che circonda l’individuo. […] vedendo l’altalena avrei avuto voglia di piangere, / come fanno i rami degli alberi all’approssimarsi / dell’inverno, come un cane che ritrova in / sogno il suo padrone perduto. Ma come dirlo / a te che vivi dall’altra parte del fiume, come / fartelo capire se le nostre braccia si muovono / assieme ma parlano due lingue diverse.
Il buio e il freddo contraddistinguono la silloge, sono aggettivi sostantivati pregni di significato congrui a rendere l’effetto dell’abbandono, della scelta verso l’isolamento per riflettere, per ritrovare se stessi, per elaborare un dolore o semplicemente arginare un desiderio.