Fossa Clodia. Quaranta brevi storie di terra e di acqua
di Monica Florio
La protagonista di questi testi in prosa poetica è Chioggia, descritta con efficaci similitudini da Renzo Cremona. Il paesaggio lagunare, in cui il tempo si misura a “mareggiate”, secondo il crescere e il defluire della marea, viene definito in base agli elementi che lo caratterizzano: le barene (terreni di forma tabulare sommersi periodicamente dalle maree), le briccole (palafitte usate come ormeggio per le imbarcazioni), le forcole (scalmi delle gondole e di altre imbarcazioni formate da un ferro terminante in una forca dove è incastrato il remo), le peocère (zone adibite alla pesca).
“Era difficile accorgersi di dove finisse la terraferma e dove cominciasse la laguna…”: con queste parole viene dipinta Fossa Clodia, nome primordiale della città di cui l’Autore registra il declino con voce ferma e addolorata.
Luoghi ma anche ritratti di gente qualunque – il coatto, il falegname, la rincretinita, lo scontroso – animano tali pagine corredate da fotografie in bianco e nero. Nell’accostarsi a questi tipi umani il poeta sceglie, variandolo, il lessico più adatto, come nel citato “Il coatto” in cui non rinuncia alla forza espressiva del turpiloquio accompagnandolo con un’ironia sottile che permea l’epilogo: “quando la forza con la ragione contrasta, vince la forza e la ragione non basta”.
Sul filo del virtuosismo è, in chiusura, il dialogo tra il seccatore e l’estraneo, basato sul noto proverbio locale “le parole non fanno buchi” che viene smontato per affermare il contrario.