Opera organizzata in dieci quadri, otto dei quali contrassegnati dal nome di una differente qualità di tè, più uno di apertura e uno di chiusura (acqua e fuoco) che richiamano gli elementi fondamentali nella preparazione della celebre bevanda, Il canone del tè è un percorso attraverso i profumi e i sapori del nostro presente e del nostro passato, ma anche un viaggio nel tempo che ci abita, fatto di nostalgie sottili, di incanti improvvisi e di braci che non si estinguono.
Prosa. Dieci pezzi in una forma già sperimentata dall’autore, e che funziona egregiamente: nessuna maiuscola, ma punto mobile. La giustificazione inquadra ciascun brano da acqua a fuoco (necessari per fare un tè), internamente percorsi da pulsioni e microstorie di una purezza lineare e profonda: ‘il mondo dopo la pioggia è lucido e splendente come smalto’ (acqua). In tutto questo la memoria non va perduta, bensì si trasfigura su un piano più elevato, riconoscendo che i nostri occhi non sanno più percepire (assaporare) le sfumature: un testo come fuoco sembra riservato – e così gli altri – a un pubblico sensibile, per non dire eletto.
L’ospite di oggi ha esordito giovanissimo: la sua prima raccolta di versi si intitola Foreste sensoriali. È nato a Chioggia (Venezia) ed è laureato in lingua e letteratura cinese. Renzo Cremona è uno scrittore molto particolare, ha una spiccata sensibilità e difende la libertà di espressione e di ricerca. Tra le altre cose, ha scritto un delizioso libretto che si lega all’universo del tè e ha dimostrato di saperne cogliere aspetti sorprendenti. Un uomo piacevole, molto intelligente e dotato di una gentilezza antica. Lo ringrazio ancora per aver accettato di sottoporsi a questa breve intervista e per averla resa un’occasione di crescita e arricchimento.
- Renzo, come e dove ha avuto luogo il tuo incontro con il tè?
Il tè è stato un mondo che si è dischiuso piano piano attorno a me, e mi è difficile riuscire a rintracciare nel tempo il momento preciso in cui l’ho conosciuto. Se guardo indietro, però, e cerco di afferrare il ricordo che va più lontano di tutti gli altri, ho sempre la stessa immagine nitida dell’occasione in cui ho percepito chiaramente che bere un tè è in verità un po’ come mettere un piede in un mondo parallelo: ho una decina d’anni, e io e mia madre andiamo a trovare, in un bel pomeriggio di primavera, una zia che è rientrata dopo molti anni dall’estero. Fuori c’è il sole, entriamo in casa e ci sediamo. Subito lei va a mettere l’acqua sul fuoco e prepara le tazze, la teiera, i cucchiaini. La chiacchierata tranquilla, il clima rilassato e senza fretta, l’aria accogliente della casa producono in me una reazione a catena.
Da quel pomeriggio in poi, tutte le volte che ci siamo visti, io pregustavo già da prima il sapore del tè, ma, più di tutto, l’atmosfera che l’avrebbe accompagnato. Sarà forse stato che ho sempre percepito quanto bene si accordi una tazza di tè bollente ad una piacevole conversazione, sarà anche stata la sensazione di condividere in quel momento qualcosa di speciale, ma, ecco, credo che sia stato proprio allora che ho capito, anzi, sentito che il tè non è una bevanda, bensì un momento di tempo e di spazio tutto per noi.
Con gli anni ho poi proseguito la strada iniziata, inoltrandomi anche su sentieri poco battuti, e intraprendere in un secondo momento un corso di studi in orientalistica all’università mi ha sicuramente spinto ancor più verso la scoperta di questo mondo inesplorato - e in Italia ancora sconosciuto ai più, purtroppo - che è il tè.
- In che modo il tè è riuscito a ispirarti?
Il mio rapporto col tè è, se vogliamo, di natura sinestesica, va a coinvolgere un’intera rete sensoriale che si dipana da un centro che ha carattere variabile. Può essere che sia lo stato d’animo a condurmi verso un tè anziché un altro, o che viceversa sia la qualità del tè stesso ad evocare delle percezioni, delle immagini particolari. Come una palla che rimbalza all’interno di una grande stanza vuota, poi, ci sono naturalmente echi, richiami, ombre e variazioni di luce che vengono prodotte dai nuovi movimenti.
Quando ho scritto il terzo quadro, ad esempio, la sensazione che ho provato assaporando un eccezionale Bai Mudan giallo - di cui, fino a poco più di un anno fa, non sapevo nemmeno l’esistenza - ha provocato dentro di me una specie di corto circuito che è andato a coinvolgere il gusto, la parola, il pensiero, lo stato d’animo, tutto: non so spiegare cosa esattamente abbia causato una tale serie di associazioni; posso solo dire che in queste associazioni sono presenti tutti gli elementi che ho potuto percepire assaporando fisicamente il tè in questione. E che si tratta, naturalmente, di elementi soggettivi.
- Raccontaci del libro.
Credo di dovere spendere qualche parola per spiegare il perché del titolo. Non era e non è mia intenzione fare il verso al celeberrimo manuale di Lu Yu, il letterato e poeta cinese di epoca Tang che ha messo per iscritto tutta una serie di informazioni relative all’origine, alla produzione e alla preparazione del tè.
Il mio libro ha uno scopo e una natura completamente differenti: non si propone, infatti, di organizzare un lavoro attorno all’utilizzo della bevanda stabilendo dei precetti di correttezza, ma di apprestare una sorta di nomenclatura spirituale del tè, lasciando intravedere l’atmosfera che si crea attorno al tè stesso. Mi piaceva tuttavia l’idea di un canone, sia perché scandisce un insieme di norme - quasi a voler indicare, in senso lato, quale debba essere lo stato d’animo nel momento in cui ci si accosta ad un tè anziché ad un altro - sia perché costituisce un paradigma esistenziale in grado di rappresentare, di volta in volta, dei modelli di vita differenti, sovrapponibili, interscambiabili o semplicemente paralleli.
Il tutto è nato da un progetto comune con Paolo Candeo del “Signore del tè” di Torreglia: pensavamo a come poter sensibilizzare le persone su un tema così poco conosciuto quale è il tè, e così abbiamo organizzato un recital in cui io leggo il contenuto dell’intero libretto, mentre agli ospiti intervenuti viene offerta una degustazione guidata.
Il libro è organizzato in dieci quadri, otto dei quali contrassegnati dal nome di un diverso tipo di tè, più uno di apertura e uno di chiusura (acqua e fuoco) che richiamano gli elementi fondamentali nella preparazione della bevanda. Si tratta di brevissimi monologhi drammatici che percorrono i profumi e i sapori del nostro presente e del nostro passato, ma anche di un viaggio nel tempo che ci abita, fatto di nostalgie sottili, di incanti improvvisi e di braci che non si estinguono.
- Esiste un rapporto tra il tè e la poesia?
Certo che esiste. E ti dirò di più: esiste un rapporto anche tra il tè e la calligrafia, perlomeno come viene intesa in Estremo Oriente, dove è assurta al ruolo - giusto e meritato - di vera e propria arte. La calligrafia, infatti, riproduce molto da vicino le movenze dello spirito e del flusso vitale che ci attraversa, ed è la condensazione, su carta, dell’intero che ci costituisce. Anche il tè produce delle scritture nel nostro animo, e anche il tè è in grado di creare delle bellissime calligrafie: con il movimento quasi impercettibile dell’acqua, con il vapore che si solleva lento dalla tazza, con le linee che lascia sulla ceramica, persino con le bolle dell’acqua che salgono in superficie mentre lo si prepara. La poesia è per eccellenza quel genere che, come diceva Jean Cocteau, «imita una realtà di cui il nostro mondo possiede soltanto l’intuizione», perciò il tè è una forma di poesia, in quanto momento perfetto in cui si ricrea la bellezza di un ordine intangibile di cui raramente abbiamo esperienza. Quando parlo di ordine, però, non mi riferisco affatto alla ritualità della cerimonia annessa, bensì a quella disposizione d’animo che si produce nella persona che si predispone ad assaporarlo e a farlo parlare.
- Che ruolo ha il tè nella tua giornata? Quale tipologia preferisci?
Considero il tè terapeutico. Ha la capacità di riportare ordine dentro il caos. A me basta mettere l’acqua sul fuoco, preparare le foglie, sentirle sotto le dita, odorarne il profumo, guardarne il colore.
Preferisco non bere tè in tazze che non abbiano il fondo bianco o, al limite, trasparente e incolore: vedere il colore di un tè è un’esperienza metafisica - come del resto berlo - perché traspone la realtà tangibile in un mondo perfetto e incorruttibile dove anche le minime differenze di sfumatura sono il riflesso di un universo possibile, un dono prezioso che ci viene fatto e che testimonia della bellezza inesprimibile di cui è ancora capace il nostro mondo stanco e logorato.
Non passa giornata senza che io abbia bevuto in media sette-otto tazze di tè (in genere differente, ma non disdegno affatto il bis). Amo tutti i tè, ma in modo particolare lo Yinzhen bianco, il giallo Junshan Yinzhen, il Bai Mudan giallo di cui parlavo prima, il verde Taiping Houkui, e due Oolong che ho conosciuto di recente e mi hanno subito conquistato: l’Oolong “King’s Grade” (proveniente dalla regione del Doi Tung, in Thailandia), che ha un leggerissimo ma delizioso retrogusto di albicocche e limone pur non essendo aromatizzato, e il Milky Oolong, con quella lieve sfumatura di latte vaporizzato che lo rende unico. Poi ultimamente ho provato due tè fenomenali: un Pu-erh bianco in mattonella e il verde Qiandao Chun, dolcissimo e morbido, prodotto nello Zhejiang nella sola quantità di 150 chili all’anno. Amo anche un buon Darjeeling e molti neri.
Come vedi, mi riesce difficile dirti quale tipologia preferisco: il tè è un vero universo da esplorare continuamente.
Milano, 29 Febbraio 2008 – L’albergo che ospita la poesia. Questo l’invito di Best Western Hotel Biri a Padova il 19 marzo 2008 in una serata dedicata alla lirica, al tè e a tutte le sue suggestioni.
Mercoledì 19 marzo alle ore 21.00, Best Western Hotel Biri offrirà ai suoi ospiti una serata declinata tra “Il canone del tè”, il recital di Renzo Cremona e Santa Boscolo, e la degustazione di un menu speciale, un itinerario di sapori legati dall’aroma del tè. Un percorso multisensoriale reso unico dal liquore di giada dove parola, essenze e profumi, gusti e vista si incontrano per regalare un’esperienza totalizzante.
Un viaggio emozionante e autentico nella sua unicità tra le parole e i sapori da tutto il mondo, in un'atmosfera accogliente ed esclusiva.
Il menu, curato personalmente da Augusto Serafin, chef del Best Western Hotel Biri, insieme a Paolo Candeo, titolare del "Signore del tè" di Torreglia, prevede l’impiego di foglie provenienti da Ceylon, dal Giappone e dalle mitiche terre dell’Estremo Oriente, dove il rituale del tè permane quale costante culturale. Candeo guiderà inoltre una degustazione attraverso otto tipi di tè provenienti da ogni parte del mondo, completandola con la tradizionale cerimonia cinese del tè Gongfu.
Il recital di Cremona è suddiviso in dieci quadri, otto dei quali contrassegnati dal nome di una differente qualità di tè, più uno di apertura e uno di chiusura (acqua e fuoco) che richiamano gli elementi fondamentali nella preparazione della bevanda. Si tratta di un percorso attraverso i profumi e i sapori del nostro presente e del nostro passato, ma anche un viaggio nel tempo che ci abita, fatto di nostalgie sottili, di incanti improvvisi e di braci che non si estinguono.
Renzo Cremona, nato a Chioggia nel 1971, in soli cinque anni ha collezionato numerosi premi nazionali e internazionali (tra cui il Primo Premio all’VIII Edizione del Premio Letterario Internazionale “Mondolibro” di Roma, il Primo Premio al Premio Letterario Nazionale “Campania – Gesualdo Bufalino” a Caserta, e il Premio Speciale della Giuria al Premio Europeo di Arti Letterarie "Via Francigena" a Pontremoli), e leggerà i suoi testi insieme all'attrice Santa Boscolo.
Per informazioni e prenotazioni contattare Best Western Hotel Biri:
0498067700 – email:hotelbiri@hotelbiri.com
www.bestwestern.it/biri_pd
www.renzocremona.it
Un testo di taglio decisamente sperimentale, sia per stile sia per struttura. Un testo che inevitabilmente fa porre al lettore il problema: poesia o prosa? Se è vero che non sono i versi a fare un pezzo di poesia, è vero pure che non sono fabula, intreccio, ambientazione e dialoghi a fare un'opera di narrativa.
Ma nel caso di Renzo Cremona la scrittura, molto elegante e ricercata, riesce a raccontare efficacemente un viaggio lungo e difficile, sia da compiere sia da raccontare: l'avventura di un viaggio interiore. Una scrittura che, se è vero che esplora gli angoli più reconditi dell'interiorità tout court, è vero pure che è di fatto il mezzo che lo scrittore appronta per il lettore per consentirgli di compiere un viaggio all'interno di una precisa interiorità, quella del narratore (inteso in senso tecnico, nell'accezione di "voce narrante"). E di immedesimarsi con l'individualità che la "voce narrante" sottende.
Avviene così che narratore e lettore, compiendo insieme questo percorso affascinante e sorprendente, unico e irripetibile, diventino un tutt'uno nell'apprenderne natura e significato: l'esplorazione di un'anima protesa a comprendere se stessa per spiegarsi il senso e lo scopo della propria esistenza.
Esplorazione tanto più importante in un mondo che non ha più "la voglia di aspettare", che ormai sa solo "parlare la lingua arroventata dell'impazienza, la furia incendiaria e sconnessa della fretta, l'urgenza della collera". Ma che non per questo può smettere di anelare "lo spettacolo dei tizzoni che non si estinguono, il miracolo delle scintille che tengono lontana la notte". Che non per questo può rinunciare alla speranza di poter accendere "una luce perenne nelle cavità del buio".
Un'opera, quella di Renzo Cremona, dal tenue confine tra poesia e prosa, ricca di umori intensi che danno linfa a quanti riescono a fermarsi nel turbinio sfavillante del mondo odierno, e a sostare in radure lontane per assaporare albe primordiali e riuscire a scoprire "l'inutile commercio con lo strepito e gli allettamenti della distrazione".
Viatico per il viandante che vuole salvarsi dalle insidie dell'effimero dell'oggi, essa vuole descrivere, in un ventaglio affascinante che si apre sul Canone del tè, il rapportarsi dell'autore con l'immaginifico e onirico del tempo, il suo tempo. Una descrizione ammaliante che non lascia respiro, che blocca l'uomo sequestrato dal mondo odierno per farlo fuggire dalla "lingua arroventata dell'impazienza, la furia incendiaria e sconnessa della fretta, l'urgenza della collera" e condurlo ad accendere ancora una volta "una luce perenne nelle cavità del buio" per tenere lontana la notte. Dall'autore, tra l'altro dotato di un curriculum rilevante, è lecito attendersi nuove ed illuminanti prove letterarie.
Di Renzo Cremona, veneziano di Chioggia, la nostra rivista si è occupata diverse volte e certamente ancora si occuperà, considerato il pregio del suo lavoro letterario (www.renzocremona.it). Qui segnaliamo una piccola pubblicazione apparsa per le Edizioni Eva di Venafro: Il canone del tè, raccolta di dieci brevi prose liriche. Sono meditazioni di sapore zen, "circondate da uno spazio di stupore intatto" (non a caso, Cremona è anche autore di haiku di autentica fattura), tra le cui pieghe emergono tuttavia costantemente un "noi" e un "tu" che rinviano anche ai momenti d'un legame amoroso e carnale. Qui prevale, in realtà, un sentimento di quiete e d'ascesi ("Anche il ramo più corto può servire ad ospitare le barche in cerca di rifugio, anche le fronde più rade possono offrire riparo quando la luce si fa più impietosa... si tagli quello che in noi è troppo, che è fuori, e ha nostalgia dell'infinito"), ma unitamente al rimpianto per le occasioni perdute: "sappiamo solo parlare la lingua arroventata dell'impazienza, la furia incendiaria e sconnessa della fretta... noi che avremmo solo dovuto apprendere lo spettacolo dei tizzoni che non si estinguono, il miracolo delle scintille che tengono lontana la notte, ad accendere fiduciosi e docili una luce perenne nelle cavità del buio".
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