«Una scrittura densa, a tratti fortemente concettuale, nella quale le parole vengono usate per far fondere immagini con sensazioni e i pensieri, in una continua ricerca di assonanze e di evocazioni. Da leggere e rileggere.» (Marco Bottoni)
«Il racconto, suddiviso nella scansione di brevi brani, raccoglie narrazioni sui vizi capitali antichi e nuovi e sulle antiche e nuove virtù cardinali. Una scrittura di notevole eleganza stilistica, immaginifica e lussureggiante, impreziosita dal dono d’una intensa musicalità. Luoghi del nostro mondo e luoghi della psiche sono riuniti in un impasto linguistico di inconsueta efficacia.» (Subhaga Gaetano Failla)
Recital di presentazione del nuovissimo libro di Renzo Cremona DEI VIZI E DELLE VIRTÙ, uscito da pochi giorni. Renzo Cremona, insieme alla voce magnifica di Santa Boscolo, darà vita alle parole del libro e ci permetterà di vivere un momento di autentica arte. Le musiche sono state scritte appositamente per questo evento dall'artista Hakim Zemaj.
In un agile volumetto di circa una cinquantina di pagine, Renzo Cremona ci propone un viaggio denso di spunti di riflessione. Vizi capitali e virtù cardinali prendono forma in brevissimi racconti che senza preamboli mettono a nudo il significato primo di ognuno di loro. Si inizia così con la forza esplosiva e scalpitante dell’ira, furente dietro la porta che la rinchiude e la trattiene, per proseguire poi con l’immagine statica dell’accidia, desolante immobilità di fronte al fluire della vita.
Quella di Cremona è una scrittura fortemente evocativa, che traduce le parole in chiare immagini i cui colori, riflessi ma anche profumi e suoni non potrebbero essere più nitidi. Ne è un esempio la descrizione dell’atmosfera asfittica della stanza chiusa che rappresenta l’avarizia: “sa di chiuso questa stanza, di mucido, e non aprono le finestre forse da quando la casa è stata costruita. le tende sono troppo pesanti e non permettono alla luce di entrare, si moltiplica la polvere e proliferano i ricordi ormai ammuffiti”.
La prima parte del libro presenta i sette vizi capitali seguiti dalle quattro virtù cardinali “del tempo antico”, vale a dire quelli che noi tutti conosciamo, mentre nella seconda parte l’autore propone vizi e virtù “del tempo moderno” in un interessante raffronto coi precedenti. I mini-racconti si susseguono rapidamente, snocciolando così anche i “nuovi” mali del nostro tempo come ignoranza, impazienza, disaffezione, assieme a virtù come dedizione, stupore o limpidezza. Matrice comune di quasi tutti i racconti è l’uso della prima persona, sia singolare che plurale, che dona alla narrazione tinte più forti e rende i giudizi più severi e inappellabili; l’io/noi narrante è consapevole, seppur a posteriori, della propria colpa o mancanza e si arrende all’inevitabilità delle conseguenze: “e venne il vento, un giorno, a spogliarci fino alle ossa e a farne appigli salmastri per uccelli…”.
Vale certamente la pena spendere un’ora del proprio tempo in questa lettura, e magari qualcosa di più negli spunti che essa ci offre.
Narrativa. Risalenti al 2007, le prose qui riunite prospettano un soggetto quadripartito tra vizî e virtù secondo il tempo antico o moderno. La scrittura è, come al solito, raffinata, dotata di un fascino interiore che procedendo testualmente nobilita anche aspetti in apparenza banali: una capacità che va riconosciuta all’autore. Nato a Chioggia nel 1971, è consulente linguistico di diversi idiomi, tra cui il mancese e l’afrikaans. È la forma a istituire nei tasselli narrativi una profonda linearità, un nitore che deriva dalla parola spogliata di inutili segni: punteggiatura essenziale, niente maiuscole. La fantasia si incunea negli spazi del senso, attuando la beltà del significante, che rende incorporei anche i gesti ‘naturali’ o descrittivi: ‘fluttuavano, in quei giorni, i momenti di silenzio’ (accidia).
Singolare questa ricognizione contemporanea dei vizi e delle virtù operata da Renzo Cremona, in questo agile e intrigante libretto, quasi un livre de chevet da tenere preziosamente vicino, per gustare di tanto in tanto l'approdo poetico di una sapida riflessione esistenziale, a metà tra la meditazione filosofica e l'appunto visionario. Sulla scia della tradizione stoica del "catalogo dei vizi e delle virtù" (presente pure nell'epistolario paolino), Renzo Cremona si avventura nella codificata distinzione della morale cattolica tra vizi "capitali" e virtù "cardinali" (ira, accidia, prudenza, giustizia...), ricostruendone l'immagine e il profilo in una prosa poetica accattivante e visionaria, e aggiungendone la serie di vizi capitali e virtù cardinali dei "tempi moderni" (ignoranza, rimpianto, oblio, memoria, impazienza, dedizione, stupore, limpidezza, pienezza), il tutto offerto in una carrellata di racconti poetici minimali ma fortemente simbolici, in un concentrato di forza evocativa e di suggestione per tutti i cinque sensi. Così l'ira viene rappresentata in una scena concitata che suggerisce conflagrazione e devastazione, l'accidia è simboleggiata da una stasi gelatinosa, l'avarizia da una stanza chiusa e bloccata in un silenzio ammuffito, e così via, in un'articolazione di immagini molto pregnanti e in un linguaggio denso, icastico, con forti aggettivazioni. La separazione tra "antico" e "moderno" rimane dunque solo concettuale, perché il tratto linguistico rimane costantemente teso all'affabulazione e alla "teatralizzazione", con tratti a volte apocalittici, a volte contemplativi. Cremona riesce dunque ad aggiornare il mondo dei vizi e delle virtù senza imporre una cesura netta tra il prima e il dopo, collegando anzi i due tempi in una medesima architettura di immagini che la "messa in scena" poetica esalta e attualizza.
Sono proprio queste immagini, così vivide ed eloquenti, a rendere tangibile l'alfabeto simbolico di questi racconti, al di là del loro substrato filosofico, e a dare coloritura emotiva anche ai "personaggi" non umani, alle case, alle stanze, ai monti, agli alberi, alle piante, sollevandoli da quella reificazione quotidiana che forse Renzo Cremona ci indica come il vizio moderno più grande di tutti, perché minaccia la capacità di stupirsi sempre e comunque.
Ancora una volta Renzo Cremona si propone al lettore con una prosa aurea, preziosa e discreta, ancora una volta, nelle sue pagine, si possono individuare non poche voci senza nome, Tutti senza nome: «si direbbe che ci sia un demonio, dall’altra parte»…«lo chiusi di là, il senza nome»; «preferimmo invece far finta che ci bastasse non conoscere»…«diventammo così corpi senza nome».
Seducenti forme di pensiero accompagnano una scrittura purificata, cesellata, miniatura dello spirito, ricca di immagini suggestive, nell’enumerazione dei “vizi capitali” e delle “virtù cardinali”, ne “il tempo antico” e ne “il tempo moderno”.
Tocchi d’eleganza accompagnano lo scorrere delle sequenze, e questo vale pure per la “lussuria”: «le labbra erano tetti irraggiungibili nel cuore del giorno dai quali colavano, odorando di antico, intermittenti gocce di sperma».
La forza del dettaglio si manifesta in frammenti che stupiscono a ogni passaggio, schegge ammantate di poesia, intrise di sottili velature, di umori cangianti, che catturano nella loro rete ammaliando. Ma l’attenzione per il singolo (albero o chi per lui) non distoglie dall’insieme: «sono alti e forti in maniera diversa gli alberi di questa immensa foresta».
È sempre questione di punti di vista, non di rado contrapposti: «non mi piace questa pianta che è cresciuta davanti alle finestre»…«si è scordata che qualcuno deve guardare fuori da questa stanza e godere della luce del sole». Ma il dissidio può riassorbirsi: «lei ha tanto diritto di guardare dentro quanto io di guardare fuori».
In un gioco di trasparenze e opacità, di intermittenze, di interferenze, le lancette dell’orologio, impolverate dal tempo, procedono lentamente, fissando per sempre la loro memoria nelle mura.
L’uso delle minuscole in luogo delle maiuscole permane pure in questo librettino di Cremona, sua peculiarità, sua cifra stilistica che, di opera in opera, ripetendosi si rinnova, rassicurante presenza nonostante siano «le direzioni confuse a scoraggiarci, ma anche le tante strade» nel labirinto esistenziale.
L’attività di traduttore dell’autore (cfr. «il sonno, grande traduttore del giorno») rende la sua produzione ancor più matura e consapevole: la parola non è mai approssimata, vibrando d’intime e precise sfumature. Renzo Cremona, pur avendo già ottenuto notevoli e sensibili riconoscimenti nell’ambito dei premi letterari e della critica, meriterebbe di più, rispetto a quanto l’odierno panorama editoriale italiano possa offrire.
Renzo Cremona è una delle voci più interessanti del panorama letterario nazionale. Lo abbiamo incontrato in occasione del suo intervento nell'ambito della rassegna “Terrazza d'Autore” della Fondazione Pasqua2000.
QUANDO LA PAROLA RICREA IL MONDO
“Togliere dagli scaffali le parole scritte per avvicinarle ai lettori”: è questo, in definitiva, ciò che avviene quando si propone un autore alla fruizione del pubblico, smontando gli stereotipi secondo cui la poesia è difficile o addirittura inutile. Ho incontrato Renzo Cremona, senza dubbio una delle voci più interessanti del panorama letterario nazionale, in occasione del suo reading “La Parola e l'Incanto” in cartellone per la rassegna letteraria “Terrazza d'Autore” voluta dalla Fondazione Pasqua2000 in collaborazione, quest'anno, con l'Assessorato alla Cultura di Valderice.
Renzo, cosa è per te la scrittura?
“Per me lo scrittore è un affamato di vita che, però, ha ricevuto un dono in più, quello di riuscire ad elaborare in parole ciò che tutti viviamo. La scrittura è un modo per allargare le dimensioni del mondo, la parola ci permette di creare nuove realtà dove tutti possiamo abitare, le parole stesse possono essere “abitate” secondo me”.
Tu sei un esperto linguista, ci parli del tuo rapporto con la lingua e la scrittura?
“La lingua è un mondo dentro il quale possiamo entrare. Ogni volta che si estingue una lingua o un dialetto non si perdono soltanto le strutture grammaticali e verbali o le opere scritte in quella lingua, ma scompare un intero sistema, è come assistere all'estinzione dell'ultimo esemplare di una specie. Le modalità di pensiero e di espressione che ogni lingua ha proprie sono una possibilità in più di “vedere” e di “pensare” il mondo. Avere più parole per potersi esprimere, per uno scrittore, è affascinante. Come dice la mia amica poetessa Christine De Luca che vive nelle isole Shetland, conoscere due o più lingue è come banchettare in doppia misura. Io sono d'accordo, la lingua è cibo.”
Tu hai tradotto molto e sei stato tradotto in diverse lingue, pensi che tradurre la poesia sia possibile?
Il traduttore per me è come un traghettatore, le parole sono come passeggeri che stanno su una barca e tu le porti da un'altra parte, in un territorio completamente diverso. Devi essere consapevole di questo. La traduzione per me è la voce nuova che queste parole acquisiscono. A me piacerebbe molto che il nome del traduttore comparisse sul libro con la stessa evidenza del nome dell'autore, come se fa in musica con i grandi interpreti o i direttori d'orchestra: l'opera è la medesima sullo spartito, ma l'esecuzione può essere anche molto diversa e questo non scandalizza nessuno.”
La tua scrittura, specie nelle sue ultime fasi, appare difficilmente classificabile: forme che non sono del tutto poesia si mescolano a forme che non sono del tutto prosa.
È vero, si tratta di un processo ancora in corso: questo dissolvimento dei confini tra prosa e poesia risponde ad una mia esigenza molto forte. Io ho cominciato scrivendo in versi e poi mi sono reso conto che non rispondevano alla ripercussione interiore che io avevo delle parole. Con “Cronache dal centro della notte” e “Tutti senza nome” è venuto fuori questo genere poetico particolare che ha certamente dei precursori, ma io li ho scoperti solo dopo! Mi è capitato, dopo alcune letture pubbliche, che le persone che avevano acquistato un mio libro si meravigliassero di non trovare le parole disposte in versi. Io rispondo che il ritmo, le pause, la “musica” del testo, questo è ciò che “fa poesia”, non l'uso delle maiuscole o di altri elementi puramente visivi della pagina scritta. Questo può piacere o non piacere, ma io trovo che questa forma risponda meglio ai ritmi interni con cui si distribuiscono le parole nella mia scrittura.”
Da cosa nasce l'idea per un personaggio, lo spunto per una poesia?
Nei modi più impensati. Cassandra, ad esempio, è nata una sera d'estate, stavo facendo una passeggiata in auto con un amico per andare a prendere un gelato e ho dovuto fermarmi per scriverne il testo. Non avevo carta con me e ho preso appunti sul retro di una bustina da tè: è venuta fuori come la conoscete, non l'ho più cambiata di una virgola. Questa è stata, però, un'eccezione, di norma i miei testi nascono dal voler mettere a fuoco una tipologia di personaggio, di carattere, di modalità dell'esistenza e dal lavoro che compio attorno a questa idea”
Secondo te esiste ancora spazio per essere originali in ciò che si scrive?
Sebbene parte della mia produzione sia molto sperimentale, questo non avviene in senso anarchico: io non voglio distruggere la parola, anzi! Il mio è un lavorio attorno alla parola per farla brillare della sua luce, per togliere il grezzo che c'è attorno, le concrezioni che si creano con il tempo. Sono un adoratore della tradizione nel senso che riconosco che tutti abbiamo un'eredità culturale in cui nasciamo e siamo collocati. Secondo me l'ideale sarebbe che ogni autore sapesse inserirsi all'interno di una tradizione ben precisa – che non vuol dire scrivere banalità – perché questo gli permette sicuramente di essere compreso molto meglio. Ci sono dei codici all'interno dei quali bisogna muoversi che consentono alla parola di non essere sterile, di poter essere trasmessa. La difficoltà è come riuscire a lasciare il proprio segno all'interno della tradizione. Oggi scrivono in molti e si pubblica tanto, io penso che sia impegnativo e responsabilizzante rendersi conto di essere scrittore e farlo, ma è giusto assumersi il compito di portare qualcosa di nuovo. L'esercizio continuo della lingua, lo sperimentare, il conoscere, il leggere – siamo un Paese dove si legge pochissimo ma tanti vogliono scrivere – siano gli strumenti per portare il proprio contributo originale: altrimenti sarebbe come pretendere che il nostro corpo funzioni senza mangiare”.
Renzo, secondo te la Poesia può cambiare il mondo?
Bella domanda! Io sono convinto che il dire una parola o non dirla, l'essersi fermati quel giorno a parlare due minuti in più con qualcuno o il non averlo fatto, l'aver risposto o meno ad una domanda, possa cambiare radicalmente il percorso di vita delle persone. Se la poesia, come parola, può accendere una miccia dentro la vita di una persona, aiutarla a guardare il mondo da una prospettiva diversa, allora sì, la poesia può cambiare il mondo, molto più delle armi”.
Dopo lo straordinario successo del reading “La Parola e l'Incanto” tenuto a Trapani nel mese di luglio nell'ambito della rassegna letteraria “Terrazza d'autore”, il poeta veneziano Renzo Cremona, una delle voci più interessanti nel panorama della poesia contemporanea, è ritornato in Sicilia con altri due readings tratti dalle sue ultime opere. Laureatosi in Lingua e Letteratura cinese, da anni svolge attività di consulente linguistico e di traduttore dal cinese moderno, dall'afrikaans, dal danese, dal neerlandese, dal neogreco e dal portoghese. Grazie ai frequenti soggiorni all'estero è potuto venire a conoscenza dell'opera di molti autori pressoché sconosciuti nel nostro Paese, traducendone per primo i testi in italiano.
Vincitore di numerosi e prestigiosi riconoscimenti letterari, nel 2004 ha pubblicato la sua prima opera di narrativa “Cronache dal centro della notte” (Edizioni Del Leone), cui è seguita, nel 2006, “Tutti senza nome” (Edizioni Del Leone), opera che esplora il territorio di nuove forme narrative e che Giorgio Bàrberi Squarotti non ha esitato a definire una originale reinvenzione del genere romanzo. Cremona è anche autore di haiku innovativi e sperimentali in lingua italiana e latina.
Da anni è impegnato a girare l'Europa con letture e recital destinati a togliere dagli scaffali le parole per avvicinarle ad un pubblico di appassionati sempre maggiore. E tale era in effetti l'attento e folto uditorio del reading tratto dalla sua ultima fatica “Dei vizi e delle virtù”, svoltosi a fine settembre nell'atrio del Palazzo Vescovile di Trapani, che ha ospitato l'evento.
Il testo si articola in una serie di brevi monologhi drammatici in prosa poetica, una “poesia senza verso”, una forma di scrittura che sfugge alle classificazioni tradizionali e di cui colpisce la straordinaria ritmica e la densità semantica. Che cosa è, o cosa sarà, una poesia che venga dopo la prosa? abbiamo chiesto al poeta, e lui ci ha risposto che questo dissolvimento dei confini tra i due generi risponde ad una sua esigenza molto forte, alla ripercussione interiore delle parole.
Il ritmo, le pause, la “musica” del testo, questo è ciò che “fa poesia”, e non l'uso di elementi puramente visivi sulla pagina.
Ad esempio Cremona ha scelto consapevolmente di abolire, oltre ai versi canonici, le maiuscole. Del resto il fenomeno che ha portato la poesia verso la prosa, l'avvicinamento asintotico del verso alla prosa, è stato variamente indagato nella tradizione novecentesca italiana, si tratta di un più ampio orizzonte in cui prosa e poesia interagiscono, si rimescolano, subiscono contraccolpi reciproci.
Anche il secondo evento in programma, i primi di ottobre, un percorso emozionale all'interno dell'opera “Il canone del tè”, un itinerario letterario legato all'aroma del tè dove parola, essenze e profumi, udito, gusto e vista si incrociano per donare un'esperienza totalizzante, ha contribuito, a detta del pubblico estasiato, a smontare gli stereotipi secondo cui la poesia sia inutile o marginale. La poesia è un modo per allargare le dimensioni del mondo, la parola poetica ci permette di creare nuove realtà dove tutti possiamo abitare, perché le parole stesse possono essere “abitate”.
Dare peso ad ogni singola sillaba, donare profondità e vita a tutte le minute realtà che abitano le sue pagine, siano esse piante o persino singole foglie, ricordi, stanze, finestre, oggetti della quotidianità è ciò che questo poeta riesce a fare con straordinaria maestria. I suoi testi sono da degustare, da centellinare lentamente, da assaporare nella calma dei giorni. E sono forse un potente antidoto a quello che appare il vizio più grande della contemporaneità: la reificazione di ciò che ci circonda.
L'esercizio continuo della lingua, lo sperimentare, il conoscere, il leggere – siamo un Paese dove si legge pochissimo ma tanti vogliono scrivere, dice Cremona – è ciò che può aiutarci a dare valore alle parole e a quanto esse rappresentano, perché non si avveri la premonizione che il poeta ci dà al termine del bel monologo su uno dei più odiosi vizi capitali, l'accidia: “fu così che il tempo ci sfuggì di mano […] e qualcun altro visse al posto nostro, qualcuno che nell'acqua ebbe l'accortezza di guardare e riuscì a vedere, in lontananza, mattini lucenti. / il giorno non sapeva più da che parte volgersi, ormai. era la fine del mondo, dunque; e noi non ce ne accorgemmo”.
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