IBS, Internet Bookshop Italia (2008)
Oz, di Renzo Cremona
La recensione di IBS
Seconda raccolta di haiku per Renzo Cremona, che prosegue il suo lavoro di fatto sperimentale e innovativo nel campo di questo genere letterario. Se in Piscine erano luce ed acqua a tessere i fili intrecciati della narrazione, quello di Oz è invece un altrove immaginifico fatto di silenziosi chiaroscuri e di mondi quasi riconoscibili, ma non per questo meno inquietanti: aeroporti deserti, stanze vuote, città disabitate e convogli ferroviari notturni sono i luoghi ideali dove potere ancora fermarsi a sentire la voce discreta che ci parla da dentro. In una civiltà in cui sempre meno spazio è lasciato al silenzio e sempre di più è lo strepito attorno, è forse in queste remote stazioni radio di una terra ormai senza gente e immersa nel sonno, in queste colonie marine abbandonate che risiede il senso profondo del nostro esistere.
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Literary nr.11/2009
di Flavia Buldrini
Questa raccolta di haiku, composti secondo la metrica classica, ha il pregio della condensazione semantica attraverso folgoranti intuizioni e l’immediatezza delle immagini. Lo stile di questa forma giapponese è infatti l’evocazione di sensazioni ed emozioni associando oggetti diversi che suggeriscono come una visione onirica, soprattutto attraverso le sfumature cangianti dei paesaggi: “strade all’alba. | asfalto luminoso | a perdita d’occhio”; “cerchio solare. | asfalto luminoso | arriva l’alba.” Un lirismo intenso è soffuso nella lapidarietà di questi versi: “arcipelaghi | di memorie lucenti. | ecco il mattino”; “mare remoto. | rifulgente estensione | di profondità”; “mare lucido | tra schegge luminose | all’orizzonte.” Anche una certa arguzia è un altro tratto distintivo degli haiku: “caccia aperta e | stagione venatoria. | Cerco parole”; “Increspatura. | anche se in superficie | è sul fondale.” Sembra di risalire, come attraverso un libero flusso di coscienza, ai primordi della creazione, nel suo verginale stupore: “ramificatio. | aequorea suspensio | usque ad primordia.” L’uso del latino rende più solenne l’espressione: “rerum silentium. Omnia sine nomine | usque ad meridiem”; “ultimae urbes. | praerarae pervolitant | disiectae aves.” Con la chiaroveggenza della poesia si coglie lo sguardo di Dio sospeso sul mondo: “sabbie insolite | sull’orlo del baratro. È nudo il giorno.” Senso e visività si fondono in un connubio artistico che suscita impressioni indefinite nell’animo del lettore, come chi si affaccia su un lago e vi scorge riflessa l’immagine trasognata di sé: “fienili e sogni. | giorno tra parentesi. | l’erba che cresce”; “foglie cadute | di luce che scricchiola. | tempo profondo”; “polvere d’oro e | fienile addormentato. | piove la luce”; “increspature. | risacca luminosa | del pomeriggio.”
Ricorre spesso l’immagine della sabbia, che evoca un mistero che sommerge, nonché il deserto che necessariamente si attraversa: “dune di sabbia. | imponderabilità | dei pomeriggi”; “la sabbia lenta. | città abbandonate | da ogni voce.” Anche la neve compare più volte come se si stendesse un velo di pudore sopra l’osceno frastuono del mondo: “cade neve | su ascensori immobili. | mondi remoti;” “neve al telefono. | i silenzi immensi | tra le parole”; “neve morbida. | le impronte della memoria | attendono noi.” Il silenzio è scintilla di eternità e di divina presenza: “lunghi silenzi. | nevicano parole | in mezzo agli attimi”; “ore in attesa. | limatura di luce | del pomeriggio”; “luci al margine. | selve ripopolate | da sogni attoniti.” Anche l’impressione della fine dell’estate, quale metafora di una stagione luminosa dell’esistenza, è un leitmotiv di questa raccolta: “remi nell’acqua | brillante di estasi. | fine d’estate”; “fine d’estate | a galla nella luce | gusci di noce”; “fine d’estate. | entra un raggio nel bosco. | felci parlano.”
S’insinuano come dei brividi di epifania della verità, come un soffio che aliti sullo spirito: “e sussurrando | viene meno la luce. | le porte chiuse.” Significativa è questa meditazione della condizione umana transitoria rispetto all’Assoluto: “cala la luce. | Noi rimaniamo al di qua | tutti dormienti.” Si può respirare il fascino del sublime in un’aspirazione persistente al trascendente e ad un altrove: “il vento soffia. | voglia di lontananze, | ma esitante”; “muti i giorni | ordiscono silenzi | attorno a noi”; “in altre stanze | si perde il pomeriggio. | in altri mondi”; “boschi primigeni | e architetture in sogno. | la vita altrove”; “all’imbrunire | sbiadiscono i contorni. | le cose altrove.” L’aspirazione ad un viaggio avventuroso frenata da una stagnazione del vivere è in questi versi: “persone parlano | in aeroporti vuoti. | è fermo il mondo”; “valigie pronte. | binari nel deserto | a perdita d’occhio”; “radi tralicci. | binari nel deserto | ma senza treni.” Un senso desolante di abbandono visita questi haiku: “stanze deserte | dove abbiamo lasciato | chiavi per sempre”; “dormo profondo | in mezzo alle foglie. | disabitato”; “strani ospiti | in terra di nessuno. | urla desertiche”; “autunno urbano. | città disabitate | senza una foglia”; “affioramenti. città abbandonate | in mezzo alle sabbie.” Una sensazione di sospensione sull’abisso dell’essere aleggia in queste parole: “foglie sospese. | risonanze d’argento | all’imbrunire”; “inchiostri neri. | zattere alla deriva | tra le parole”; “vanno a ritroso | le greggi del silenzio. | ci dimenticano.”
Vi è una compiutezza poetica in questi minuti manufatti artistici, come un lavoro di cesellatura intorno ad oggetti piccoli e raffinati: “pagliuzze d’oro. | rematori vogano | fino all’orlo.”
Il titolo enigmatico, Oz, evoca il celebre mondo fiabesco, come un universo incantato in cui regnano la fantasia e la libertà del pensiero.
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